Fotografia Digitale

Allegato a Macworld Italia di marzo 2005





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Preparazione alla ripresa

Una delle cose viste di recente sicuramente tra le più diseducative - fotograficamente parlando - è una pubblicità in cui lo slogan indicava qualcosa tipo "scatta, non pensare". Nulla di peggio per un fotografo sia egli un neofita, un appassionato o un professionista.
Anche se è artisticamente corretto scattare senza "costruire" la foto in modo artificiale, scattare senza pensare è come guidare senza pensare. Il modo migliore per farsi male. Nessuna conseguenza fisica per il fotografo che non pensa ma sicuramente risultati artisticamente dati dal caso.
Le fotocamere digitali possono operare in automatico e la foto sarà tecnicamente corretta... ma artisticamente?
L'intervento manuale, conoscendo le caratteristiche tecniche e i fattori variabili in gioco al momento in cui si fotografa, non serve solo a ottenere un risultato tecnicamente perfetto ma è anche una grande risorsa per sfruttare creativamente le opportunità offerte dalla tecnica.
Sostanzialmente, gli interventi possibili sono tutti concentrati in due aree: dosare la luce e variare l'inquadratura.
Per dosare la luce si lavorerà su tempi, diaframmi ed eventualmente sul flash. Per modificare l'inquadratura invece si lavorerà sull'obiettivo sia variandone la lunghezza focale che inquadrando aree diverse.
Di seguito si esamineranno tutti questi fattori così che sia possibile, al momento dello scatto, pensare al risultato finale costruendolo - proprio come da sempre hanno fatto i migliori fotografi nel mondo - prima nella propria mente e poi con la macchina fotografica.
Vedere un soggetto è diverso dal "vederlo" fotograficamente. Vederlo fotograficamente significa inquadrare mentalmente la scena, costruirsi una mappa mentale di come le proporzioni dei vari elementi saranno raffigurati nella foto e come le luci li faranno risaltare uno rispetto all'altro anche in virtù di quali saranno più a fuoco e quali meno.
Solo con parecchio esercizio si riesce in questo intento ma raggiunto questo livello la fotocamera sarà solo una estensione del proprio corpo che non farà altro che fermare quanto costruito prima nella mente del fotografo.

La luce

È l'elemento fondamentale che consente alla fotografia di esistere. Chi si avvicina per la prima volta alla fotografia dee sapere che la quantità di luce che deve giungere al sensore - la pellicola digitale, per intenderci - è una quantità ben precisa e in funzione della sensibilità del sensore stesso.
Un sensore molto sensibile necessiterà di meno luce di uno poco sensibile. Per capire come si può intervenire per dosare la luce basta un semplice paragone: immaginiamo che la sensibilità di un sensore sia la capacità di un recipiente. Sensibilità elevata corrisponde a un recipiente di piccola capacità; sensibilità più bassa invece corrisponde a un recipiente più capiente.
Se il recipiente ha un volume di 10 l, quanto occorrerà per riempirlo? Esattamente... 10 l.
Se si apre il rubinetto e da questo sgorgano 20 l/minuto, basteranno 30" per riempire il recipiente; se invece si chiude il rubinetto e passano solo 10 l/minuto occorrerà 1 minuto.
Questi tre fattori (capacità, apertura del rubinetto e tempo) è chiaro che sono correlati e variandone uno varia almeno anche uno degli altri. È la medesima cosa anche in fotografia e, cosa che può sempre fare comodo, non solo nel digitale.

Sensibilità del sensore

È espressa alla maniera della pellicola e sfruttando la medesima unità di misura ossia i valori DIN e ASA ora indicati come ISO.
In realtà il sensore non ha una sensibilità specifica dato che i dati da esso rilevati sono fatti passare attraverso un circuito amplificatore che ne elabora il segnale. Variando il fattore di amplificazione si varia la sua sensibilità. Per contro, amplificando eccessivamente il segnale in caso di luce eccezionalmente debole, si amplifica anche il disturbo elettronico generato - come in tutti i componenti elettronici - dal sensore.
Per comprendere questo concetto si pensi a un vecchio registratore con musicassette: quando il suono è molto debole e si alza il volume si percepisce in modo netto il fruscio di fondo. Come questo fruscio disturba il suono rendendolo scadente, anche nella foto digitale si ha un effetto simile che viene detto "rumore nel colore". Si manifesta principalmente nelle aree più scure sotto forma di chiazze o puntini di colore diverso da quello reale.
Ecco quindi che le fotocamere digitali avranno una sensibilità standard - quella ottenuta con una minima amplificazione del segnale - che produce i risultati migliori e sensibilità superiori con qualità inferiori.
Le sensibilità ottenibili sono identificate - come detto - mediante valori ISO che racchiudono in sé i valori di DIN e ASA.
Queste scale sono quelle da sempre usate nella fotografia tradizionale. La scala DIN è una scala logaritmica con valori che aumentano di 3° al raddoppio della sensibilità. Quindi 18° DIN corrisponde a metà sensibilità rispetto a 21° DIN.
La scala ASA è invece una scala lineare con valori che raddoppiano al raddoppiare della sensibilità. Quindi 50 ASA corrisponde a metà sensibilità rispetto a 100 ASA.
Mediante questa scala si potrà quindi comprendere che una fotocamera con sensibilità massima pari a ISO 400/27° sarà meno sensibile rispetto a un modello con sensibilità massima pari a ISO 1600/33°.
La sensibilità sarà determinante per comprendere quanta luce necessiterà il sensore per restituire un'immagine qualitativamente valida. A seconda del modello di fotocamera digitale si potranno impostare anche valori di sensibilità diversi in funzione delle necessità. Se si fotografa quando c'è tanta luce come in una giornata d'estate non occorre impostare una sensibilità elevata; al contrario servirà una sensibilità maggiore fotografando all'imbrunire o in un ambiente poco illuminato.
Per quanto esistano anche diaframma - con cui dosare la quantità di luce che passa - e tempo di posa - prolungabile fino a quando il sensore riceve una adeguata quantità di luce - questi hanno dei limiti oltre cui può essere o impossibile oppure controproducente spingersi. Per meglio comprendere il significato di queste parole, si pensi di scattare un ritratto in un ambiente buio. Se la luce è pochissima e la sensibilità è bassa si potrebbe ottenere - teoricamente - un ottimo risultato prolungando il tempo di posa magari a due minuti. Purtroppo il tempo così lungo è improponibile.
Ora appare sicuramente chiaro che una fotocamera che rende disponibile una gamma ampia di sensibilità si rivela più utile e versatile di una fotocamera con sensibilità fissa.
Alcune fotocamere abbinano anche valori di sensibilità predefiniti alle varie impostazioni automatiche dette "Programmi d'uso" che verranno discussi più avanti.

Tempo di posa

È anche questo un fattore determinante per la buona riuscita delle foto. Un tempo di posa eccessivo determina foto più chiare del dovuto e, al contrario, un tempo scarso è causa di foto scure.
Il tempo, come si vede, è importantissimo per una buona riuscita di una foto ma regolarlo adeguatamente può anche servire per dei risultati creativi.
Si pensi a scattare delle fotografie sportive dove si vuole ritrarre un soggetto che transita davanti al fotografo a velocità elevata. Se il tempo di posa è breve il soggetto apparirà nitido e fermo altrimenti saranno presenti delle scie più o meno accentuate che daranno un aspetto mosso.
Ma in determinate circostanze l'aspetto mosso può essere anche voluto... ecco quindi un primo esempio di utilizzo creativo dei tempi di posa. Se ne vedranno altri parlando di tecniche di ripresa.
Il tempo di posa, a parità di luce, è poi da regolare opportunamente in base alla sensibilità del sensore e alla regolazione del diaframma. Con una sensibilità elevata, se non varia la luce e la regolazione del diaframma, saranno necessari tempi di posa più brevi che per sensibilità basse.
Da ciò è facile comprendere che quando occorrono tempi brevi, e non si può intervenire sulla quantità di luce, si può impostare una sensibilità elevata.

Diaframma

È l'altro componente in gioco quando si parla di dosare la giusta quantità di luce. Anche esso sarà da impostare in funzione delle altre variabili - quantità di luce, sensibilità e tempo di posa - per determinare una corretta esposizione.
Il diaframma corrisponde infatti - come un rubinetto - all'apertura del foro attraverso cui passa la luce. Aperture maggiori fanno passare più luce.
Il valore dell'apertura del diaframma si indica secondo una scala di valori standard che va da un minimo di f/1 a un massimo di f/90. Non esistono limiti teorici, ma i valori indicati rappresentano limiti pratici. Il valore del diaframma è indicato come "f/1" o "f/90" e non come 1 e 90 . Il motivo è semplice: il valore del diaframma è dato dalla lunghezza focale dell'obiettivo diviso il diametro dell'apertura del diaframma.
Se si ha un obiettivo in cui la massima apertura è f/4 significa che il diaframma, alla massima apertura, avrà un diametro pari a 1/4 della lunghezza focale. Spesso, a maggiore testimonianza di questa convenzione, si vede che i diaframmi sugli obiettivi sono indicati con "1/4" anziché "f/4". È solo un diverso modo per dire che il diametro dell'apertura del diaframma è 1/4 della focale.
È spontaneo chiedersi perché non indicare semplicemente il diametro in millimetri. Il motivo è presto spiegato: a pari rapporto (es. f/4), variando la lunghezza focale - ossia usando un teleobiettivo piuttosto che un grandangolo, argomenti discussi a breve - non varia il tempo di posa. In altre parole, se con un obiettivo da 50 mm a f/8 si ha un tempo di posa di 1/125 secondo, anche con un obiettivo da 100 mm lavorando a f/8 si avrà lo stesso tempo di posa. Questo ovviamente se restano immutate le condizioni di luce. Gli scettici possono fare una prova inquadrando una superficie omogenea e omogeneamente illuminata e impostando, se dispongono di fotocamera con lo zoom, lunghezze focali differenti.
Con un semplice ragionamento si capisce il motivo: con un obiettivo di corta focale - es. un 35 mm - si inquadra una superficie ampia, di conseguenza la quantità di luce riflessa da questa superficie è notevole.
Alla medesima distanza, un obiettivo di focale maggiore - es. un 80 mm - inquadra solo una parte della superficie quindi il sensore riceve meno luce.
Per mantenere il tempo di posa occorre far passare più luce ingrandendo il foro - il diaframma - in cui questa passa in proporzione alla lunghezza focale. Se si utilizza il sistema tradizionale, esprimendo quindi il diaframma come frazione della lunghezza focale, la fotocamera può misurare la luce e stabilire la posa corretta - tempo e diaframma - indipendentemente dalla lunghezza focale.
Se questa è la parte più tecnica relativa al diaframma, ve n'è anche una più vicina al lato artistico. Anche se questo effetto è meno evidente nelle fotocamere compatte rispetto alle reflex, il diaframma è fondamentale ai fini della profondità di campo. Con questo termine si indica la gamma di distanze a cui i soggetti appaiono nitidi e a fuoco. Con un diaframma molto chiuso si hanno a fuoco i soggetti in una gamma di distanze più ampia che con un diaframma molto aperto.
Un ipotetico esempio numerico esprime meglio il concetto.
Senza variare l'obiettivo, con diaframma impostato a f/16 si potrebbe avere a fuoco da 1 m fino a 15 m. In questo caso la profondità di campo sarà di 14 m; decisamente ampia. Con diaframma impostato a f/3,5 si avranno a fuoco i soggetti a distanze comprese tra 3 e 6 m quindi si avrà una profondità di campo pari a 3 m (ossia la differenza tra la distanza minima e massima cui i soggetti sono a fuoco), decisamente inferiore rispetto al caso precedente.
È chiaro che i risultati saranno quindi diversi. Immaginando di avere due soggetti, uno a 5 m e uno a 10 m di distanza, nel primo caso entrambi saranno a fuoco mentre nel secondo caso solo quello più vicino sarà a fuoco.
Le applicazioni pratiche sono molteplici. Quando si ritrarrà un paesaggio con soggetti ugualmente importanti siano essi vicini - per esempio delle piante - oppure lontani - come delle montagne all'orizzonte - sarà il caso di impostare un diaframma piuttosto chiuso così da avere tutto correttamente a fuoco.
Al contrario ritraendo un soggetto in primo piano e volendo sfocare lo sfondo sarà facile ottenere questo risultato mediante un diaframma molto aperto.
In questi casi si darà importanza alla scelta del diaframma e si sceglierà un tempo di posa adeguato ricordando che raddoppiando il numero del diaframma (es. da f/4 a f/8) si quadruplica il tempo di posa. Se a f/4 il tempo di posa era pari a 1/500 di secondo, impostando il diaframma a f/8 il nuovo tempo sarà pari a 1/125 ossia 4 volte più lungo.
Partendo da diaframma f/1 si trovano anche valori intermedi formando così una scala come questa:
1 - 1,4 - 2 - 2,8 - 4 - 5,6 - 8 - 11 - 16 - 22 - 32 - 45 - 64 - 90 e così via.
A ogni passaggio da un valore a quello superiore - per esempio da 2 a 2,8 - si dimezza la quantità di luce dato che si dimezza l'area del foro attraverso cui passa la luce. Siccome si parla di superficie di un cerchio, la superficie raddoppia quando il raggio è moltiplicato per la radice quadrata di 2 (ossia 1,414 e altri decimali) e dimezza quando la misura del raggio è divisa per la radice quadrata di 2. Sugli obiettivi non si indicano tutti i decimali risultanti dal calcolo ma solo il primo dopo la virgola ed ecco spiegata la presenza dei valori intermedi come 1,4 o anche 4,5.

Le combinazioni sensibilità/tempo/diaframma

Questi tre fattori si è visto come possono interagire. Per foto ferme a soggetti in movimento si useranno tempi di posa molto brevi, più lunghi per un effetto mosso. Per avere tutto a fuoco - sia i soggetti vicini che quelli lontani - si useranno diaframmi chiusi. Quando la luce non permetterà un tempo adeguatamente breve o un diaframma sufficientemente chiuso allora ecco che si potrà intervenire sulla sensibilità. Queste regolazioni saranno automatiche - tutte o solo alcune - se si useranno i programmi preimpostati come quelli tipici per i paesaggi, i ritratti o le riprese sportive.
Solo nell'utilizzo completamente manuale della fotocamera si potranno scegliere tutti questi valori e impostarli a piacimento. La fotocamera, in questi casi, sarà d'aiuto per mostrare, in base alle misurazioni che compie, se i valori scelti sono adeguati alle condizioni di luce.

Modalità di Misurazione

Se si è visto come dosare la luce in base alle proprie necessità, ancora non si è visto come la fotocamera misura la luce riflessa dal soggetto. La misurazione della luce è fondamentale per la corretta esposizione dato che, dopo avere per esempio impostato sensibilità e un diaframma adeguato alla necessità creativa, servirà un tempo di posa commisurato alla luce. Al contrario, impostando un tempo adeguato a "bloccare" un soggetto in movimento occorrerà impostare un diaframma giusto per la quantità di luce presente sulla scena.
A tal fine, i sistemi di misurazione sono molteplici. Nelle fotocamere reflex possono essere presenti dei sensori disposti al centro e sugli assi orizzontale e verticale dell'area inquadrata. Sulle compatte può essere utilizzato il sensore stesso usato per riprendere la fotografia.
Nel primo caso il vantaggio sta nel fatto che il sensore è alimentato elettricamente per lo stretto tempo necessario a scattare la foto consentendo così di non scaldarlo eccessivamente. In questo modo, dato che con l'aumentare della temperatura i sensori accentuano il rumore nel colore, si hanno risultati superiori.
Nel secondo caso, ossia nelle compatte, il vantaggio sta nel potere valutare la luce di un punto qualsiasi del fotogramma anche a scelta dell'utente. Questa è una funzione presente però solo su alcune fotocamere.
Quello che comunque importa più di ogni altra cosa, è conoscere quali aree - tra quelle inquadrate - la fotocamera considera più importanti per valutare la corretta esposizione.
Normalmente sono disponibili più modalità; tra queste le più comuni sono dette "valutativa", "ponderata al centro" e "spot".

  • Modalità di esposizione "valutativa"
    In questo caso viene valutata l'intera area inquadrata cercando il miglior compromesso tra le zone più illuminate e quelle più in ombra.
    È una modalità utile per le fotografie generiche in cui non vi sono aree inquadrate più importanti di altre. Non è indicata in situazioni estreme come il controluce ossia quando il soggetto in primo piano ha una luce intensa dietro di sé. In questo caso, infatti, l'esposizione terrebbe conto della gran quantità di luce sullo sfondo e farebbe apparire molto scuro il soggetto in primo piano.
  • Misurazione "ponderata al centro"
    Anche detta "semi-spot" data la sua similitudine con la modalità spot, valuta sì l'intera zona inquadrata ma dando maggiore importanza alle zone centrali.
    È solitamente indicata mediante un riquadro che evidenzia zona centrale del fotogramma.
    È indicata per situazioni cui, sebbene la zona centrale sia la più importante, anche la restante area inquadrata deve essere correttamente esposta. Si rivela utile per esempio nel ritratto quando sia il soggetto principale che il panorama sullo sfondo sono importanti anche se quest'ultimo lo è in misura minore.
  • Misurazione "spot"
    Di tutta l'area inquadrata solo una piccola zona al centro viene esaminata al fine di calcolare la corretta esposizione.
    È solitamente indicata mediante un pallino al centro del fotogramma.
    Questa modalità serve quando solo una parte di quanto è inquadrato ha importanza al fine dell'esposizione senza che le rimanenti aree abbiano una grande importanza.
    Può essere usata in situazioni particolari, per esempio nel controluce, così che il soggetto primario venga correttamente esposto anche mentre altre zone inquadrate presentano una illuminazione notevolmente differente.

Blocco dell'esposizione

Come si è detto, alcune modalità di esposizione prestano maggiore attenzione al centro del fotogramma. Ma se il soggetto principale non si volesse al centro bensì, per esempio, su di un lato?
Ossia, con la misurazione spot o ponderata al centro, se la fotocamera valuta prevalentemente la luce della zona centrale del fotogramma si è vincolati ad avere il soggetto al centro dell'inquadratura?
No. Il sistema che consente di ovviare a questo apparente problema si chiama "Blocco dell'esposizione".
Si inquadra tenendo il soggetto principale al centro, si fa calcolare alla fotocamera l'esposizione - solitamente è sufficiente premere a metà corsa il pulsante di scatto - e poi si sposta l'inquadratura fino a comporre quella desiderata. A questo punto, avendo la fotocamera memorizzato in precedenza i valori di esposizione, essa risulterà immancabilmente corretta.
Il sistema del premere lo scatto a metà corsa è quello più comune e anche il più diffuso. Va ricordato che a ogni scatto la procedura va ripetuta. Solo alcune fotocamere presentano un sistema più versatile ma al contempo leggermente più complesso e, a volte, potenzialmente fonte di errori.
Questo sistema consiste nell'inquadrare mantenendo il soggetto al centro, premere un pulsante apposito per effettuare la lettura e in seguito rilasciarlo. Dopo avere composto l'inquadratura finale si può premere normalmente il pulsante di scatto.
A seconda della fotocamera è possibile che - e qui nasce il rischio di errori - le impostazioni vengano mantenute o fino alla successiva pressione del tasto dedicato al blocco dell'esposizione o fino allo spegnimento della fotocamera.
Per questo motivo è necessario verificare con attenzione, sul manuale della fotocamera, la corretta modalità d'uso del blocco dell'esposizione.
L'utilità non è comunque limitata solo a situazioni molto particolari e rare bensì ci si accorgerà che è cosa davvero di tutti i giorni e che consente di migliorare notevolmente la qualità dei propri risultati.

Obiettivo

L'obiettivo è una componente fondamentale della fotocamera, sia essa digitale o a pellicola. Prima di comprendere come sfruttarne le caratteristiche, occorre conoscere i vari comportamenti dei diversi tipi di obiettivo ricordando, innanzitutto, che dalla sua qualità ottica dipende gran parte del risultato finale. Un obiettivo di ottima qualità genera sul sensore una immagine nitida, incisa, non distorta e il sensore potrà tradurre in immagine elettronica quella immagine di qualità. Un obiettivo scarso invece produrrà sul sensore un'immagine più confusa, magari eccessivamente distorta e anche il migliore sensore poco potrà fare per migliorarne la qualità.
Una fotocamera digitale dovrà quindi unire alle doti di risoluzione del sensore e versatilità dell'elettronica le doti ottiche di un obiettivo di qualità.
Per questo motivo dire a un fotografo esperto che come fotocamera si usa un telefono cellulare... fa sorridere.
Ma l'obiettivo non è solo motivo di qualità fotografica; da esso dipendono una miriade di altri fattori quale la proporzione tra i soggetti, la profondità di campo più o meno estesa a parità di diaframma, l'angolo di ripresa e altri fattori.
Innanzitutto, cosa è l'obiettivo? Contrariamente a quanto si pensa non è una lente singola bensì un insieme di lenti - convergenti e divergenti - che possono muoversi sia per garantire la corretta messa a fuoco a varie distanze che per potere variare - negli obiettivi detti "zoom" - la lunghezza focale. È appunto la lunghezza focale il fattore che determina la maggior parte delle caratteristiche dell'obiettivo.
La lunghezza focale è la distanza tra il cosiddetto "centro ottico" dell'obiettivo e il piano su cui l'immagine va a fuoco. Per meglio comprendere questa affermazione, semplificando l'obiettivo e riducendolo a una lente singola la lunghezza focale sarebbe la distanza tra il centro della lente e il piano su cui mette a fuoco.
Dalla lunghezza focale dipende l'angolo di ripresa; immaginandosi una finestra, più si sta vicini e più ampio è il panorama visibile; stando più lontani si riduce il campo visivo. La medesima cosa accade con gli obiettivi dove la finestra rappresenta il centro ottico dell'obiettivo. Più è distante - maggiore lunghezza focale - e più è ridotto l'angolo di visione. Al tempo stesso, i soggetti visibili appaiono più grandi che con un obiettivo a focale ridotta.
Proprio per il l'effetto di avvicinamento che producono, gli obiettivi a lunga focale si chiamano "teleobiettivi" dove "tele" indica distanza.
Al contrario, gli obiettivi a corta focale, caratterizzati da un ampio angolo di ripresa, sono detti grandangolari.
Obiettivi con angolo di ripresa simile a quello dell'occhio umano - circa 45-50° - sono detti "medi".
La distinzione tra obiettivi grandangolari e teleobiettivi può rivelarsi una materia complessa. Va infatti considerato che se un obiettivo è abbinato a un sensore molto grande l'angolo di ripresa diventa automaticamente ampio; se abbinato a un sensore piccolo - dato che questo può riprendere solo una porzione ridotta dell'immagine proiettata dall'obiettivo - l'angolo diventa ridotto dunque l'angolo di ripresa non dipende dal solo obiettivo.


Un risultato simile al montare un teleobiettivo, si ottiene sfruttando solo una piccola parte di fotogramma, come avviene nelle fotocamere digitali con un sensore molto piccolo.

A causa di questo fenomeno non è possibile indicare su un obiettivo il suo angolo di ripresa dato che non è un dato fisso o tipico dell'obiettivo stesso bensì viene indicata la lunghezza focale, dato specifico di ciascun obiettivo.
In funzione della dimensione del sensore si potranno effettuare dei calcoli così da conoscere l'angolo di ripresa derivante dall'abbinamento obiettivo-sensore.
Ma, sempre per complicare la vita, i sensori non sono circolari bensì rettangolari. Occorrerebbe, per essere precisi, indicare sia l'angolo di ripresa orizzontale che verticale.
A questo punto ci si immagina la confusione al momento in cui la massaia con a passione delle foto ai nipotini vuol comprare una fotocamera digitale per sostituire la sua vecchia Kodak Instamatic!
Anche da questa necessità di comprensione con la fotografia digitale viene introdotto il concetto di lunghezza focale equivalente.

Lunghezza focale equivalente

Il termine indica la lunghezza focale di un obiettivo che, su una macchina fotografica con pellicola formato 24 x 36 mm (detto anche formato 35 mm o formato 135 o anche formato Leica), presenta il medesimo angolo di ripresa della coppia obiettivo-sensore considerata.
Ecco che un obiettivo da 27 mm su una carta fotocamera digitale può corrispondere a un 50 mm e su un'altra fotocamera digitale corrisponde invece a un 75 mm se comparato con una fotocamera tradizionale.
A questo punto, sapendo che nelle fotocamere tradizionali, gli obiettivi da 50 mm rappresentano la visione dell'occhio umano, gli obiettivi con focale equivalente inferiore saranno dei grandangolari e quelli con focale equivalente superiore saranno dei teleobiettivi.
Grazie a queste informazioni diventa più semplice comprendere le definizioni usate dai produttori nelle schede tecniche delle fotocamere. Esaminando, per esempio, quanto dice un produttore per una sua fotocamera digitale compatta si legge: "Lunghezza focale: 7,4 - 22,2 mm (equivalenti a 36 - 108 mm nel formato 35 mm)". In questo caso l'obiettivo è un obiettivo "zoom" (obiettivi - comuni anche nelle fotocamere compatte - che permettono di avere diverse lunghezze focali) che spazia da un grandangolo medio (quando la lunghezza focale equivale a 35 mm) a un medio tele (quando impostato su 108 mm).
Quando si hanno obiettivi di tipo "zoom" sarà indicata la lunghezza focale minima e quella massima.
Queste indicazioni sono sempre disponibili indipendentemente dal produttore essendo fondamentali sia per la scelta della fotocamera in base alle sue caratteristiche che in fase di scatto per determinare una risposta ottica ben precisa.
Per le fotocamere reflex, essendo queste dotate di ottica intercambiabile, si indica il cosiddetto "fattore di conversione".
È un numero che, moltiplicato per la lunghezza focale reale dell'obiettivo, indica la lunghezza focale equivalente.
Una fotocamera reflex con fattore di conversione pari a 1,5 farà sì che un obiettivo da 50 mm ritragga quanto su una macchina fotografica tradizionale a pellicola è ripreso da uno con focale pari a 50 mm x 1,5 ossia 75 mm.

Lunghezza focale e profondità di campo

Si è già detto che la profondità di campo dipende dall'apertura del diaframma e, più precisamente, che a diaframma più chiuso corrisponde una maggiore profondità di campo con maggiore facilità di avere a fuoco sia i soggetti vicini che quelli lontani. Quello che si va a scoprire è ora un ulteriore fattore che influenza la profondità di campo: la lunghezza focale dell'obiettivo.
Per spiegare mediante valori numerici cosa accade variando la lunghezza focale, si immagini che un grandangolo con diaframma impostato a f/4 e impostato per avere a fuoco un soggetto a 20 m mostra a fuoco i soggetti a distanze comprese tra 10 e 40 m. Usando la medesima apertura del diaframma - ossia f/4 - e mettendo a fuoco il medesimo soggetto posto a 20 m, ma utilizzando un teleobiettivo, risultano a fuoco i soggetti a distanza compresa tra 8 e 14 m. Decisamente molto meno che con l'obiettivo grandangolare.
Quello che qui si nota, e che conta sapere, è che con un obiettivo grandangolare la profondità di campo è superiore - a parità di diaframma e di punto di messa a fuoco - a quella offerta da un teleobiettivo.
Se si desidera avere una profondità di campo ridotta, per esempio per sfocare lo sfondo dietro a un soggetto che si desidera ritrarre, è meglio utilizzare un teleobiettivo che un grandangolare. Sarà più semplice ottenere il risultato desiderato.
Il problema nel digitale nasce dal fatto che i sensori sono generalmente molto piccoli; molto più piccoli rispetto a un comune fotogramma da 24 x 36 mm e pertanto gli obiettivi, soprattutto nelle fotocamere compatte che usano sensori spesso minuscoli, devono avere lunghezze focali molto ridotte.
Ciò spiega perché con una fotocamera digitale compatta - o, estremizzando, con un cellulare - tutti i soggetti sono immancabilmente a fuoco.
Se si è alla ricerca di risultati in cui uno sfondo sfocato migliora la qualità dell'immagine, conviene pensare bene se è il caso di affidarsi a una compatta - con ottiche dalla focale molto ridotta - o a una ben superiore reflex digitale scegliendo quella con il sensore dalle dimensioni maggiori.

Lunghezza focale e percezione delle distanze

In realtà, in questo caso sarebbe più preciso parlare di influenza dell'angolo di ripresa relativamente alla percezione delle distanze.
Innanzitutto, ciò che può apparire strano è che una fotografia ripresa a distanza ravvicinata usando un grandangolo e una a distanza elevata usando un teleobiettivo, sebbene possano ritrarre il soggetto principale alla medesima dimensione, sono due fotografie completamente diverse una dall'altra.
Questo effetto deriva dal fatto che con un angolo di ripresa ampio - come nel grandangolare - oggetti a distanze poco differenti rispetto alla fotocamera coprono aree di dimensioni molto diverse tra loro.
Una persona a poca distanza dall'obiettivo potrebbe coprire la quasi totalità dell'inquadratura; un'altra persona solo poco più distante coprirebbe invece solo una parte piccolissima del fotogramma.
Nonostante le distanze non siano eccessive, si capisce che la persona più lontana apparirà decisamente molto più lontana di quanto sia in realtà.
Allontanandosi e scattando la medesima foto con un teleobiettivo - quindi un obiettivo con un angolo di ripresa molto stretto - si avrà la persona più vicina che coprirà una porzione del fotogramma molto simile a quella coperta dalla persona più lontana.
Le due appariranno così molto vicine tra loro; più vicine di quanto siano in realtà.


Riprendendo con un teleobiettivo stando distanti dai soggetti oppure avvicinandosi e usando un grandangolare si ottengono risultati diversi a causa del diverso angolo di ripresa dei differenti obiettivi.


La fotografia ripresa con un teleobiettivo mostra vicini soggetti anche lontani


I medesimi soggetti ripresi con un grandangolare appaiono estremamente più lontani che nella realtà.

Se nell'uso comune si tenderà semplicemente a preferire le corte focali per i paesaggi e i teleobiettivi per le riprese a distanza, chi vuole esprimersi creativamente ora sa che è possibile sfruttare queste errate percezioni delle distanze e le deformazioni derivanti per avere risultati accattivanti.
Con un grandangolare spinto, ritraendo una persona a pochi centimetri di distanza è facile ottenere delle caricature magari per esaltare un naso già prominente. Sempre con i grandangolari, riprendendo un soggetto piccolo a breve distanza e uno grande a distanza maggiore è facile farli apparire della medesima dimensione. Con un teleobiettivo invece si possono riprendere persone distanti tra loro - come un amico che passa ad alcuni metri distanza da un personaggio famoso - e farli sembrare davvero vicini vicini. Ci sarebbero innumerevoli altri esempi e la fantasia di ognuno può svilupparne di nuovi e interessanti; basta conoscere le basi viste sin qui.

Flash e suoi modi d'uso

Il flash è lo strumento che fornisce luce anche nelle situazioni di buio più estremo. Non si deve però pensare che il piccolo flash inserito ormai in tutte le moderne fotocamere digitali possa fare miracoli. La sua potenza è limitata e difficilmente riesce a rischiarare soggetti molto distanti. Per avere una idea della massima distanza cui esso potrà operare occorre conoscerne la potenza.
Inoltre, non basta accenderlo per utilizzarlo ma occorre conoscerne le varie modalità d'uso così da sfruttarlo al meglio.

Valutare la potenza del flash

La potenza luminosa del flash è espresse solitamente mediante il cosiddetto "Numero guida".
È un valore numerico - per i flash delle fotocamere compatte può variare tra 10 e 20 - che indica il diaframma da utilizzare per avere una foto correttamente esposta fotografando un soggetto a distanza di 1 m con sensibilità del sensore impostata a 100 ASA.
Supponendo un flash con N.G. (numero guida) 16, per fotografare il soggetto posto a 1 m avendo impostato il sensore su 100 ASA il diaframma sarebbe f/16.
È importante sapere che se la distanza raddoppia, l'intensità luminosa non dimezza ma diventa pari a 1/4; se la distanza triplica sarà pari a 1/9 e così via. Siccome raddoppiando il valore del diaframma - come passando f/16 a f/8 - la quantità di luce che passa non è doppia bensì quadrupla, per conoscere il diaframma da impostare sarà sufficiente dividere il N.G. per la distanza espressa in metri.
Al contrario, per conoscere la massima distanza di utilizzo - sempre parlando di sensore impostato a 100 ASA - si potrà dividere il N.G. per il valore del diaframma alla massima apertura. Se la fotocamera ha un diaframma con massima apertura pari a f/4 - il valore è sempre indicato sul lato frontale dell'obiettivo - sarà sufficiente fare 16 : 4 per capire che la massima distanza è pari a 4 m.
Poiché è piacevole complicarsi la vita con i calcoli matematici, si può pensare a cosa accade variando la sensibilità equivalente del sensore. Raddoppiandola si può chiudere il diaframma passando al valore immediatamente successivo (nel caso citato da f/4 a f/5,6). La nuova distanza sarà pari alla precedente (4 m) moltiplicata per la radice quadrata di 2 (1,414 e altri decimali).
Solo quadruplicando la sensibilità - passando da 100 ASA a 400 - si potrà raggiungere una distanza doppia.
Di conseguenza, con la fotocamera in oggetto che ha un diaframma alla massima apertura pari a f/4, il sensore impostabile fino a 400 ASA e un flash con numero guida pari a 16 si potranno illuminare soggetti alla distanza di 8 m.
Non va dimenticato che però la luce si attenua notevolmente all'aumentare della distanza. Usando la fotocamera con impostazioni simili si rischia che i soggetti in primo piano appaiano eccessivamente illuminati fino ad essere bruciati dalla luce eccessiva se paragonata a quella che giunge ai soggetti più lontani.
Ora che però si conoscono i limiti del flash, si possono analizzare le modalità d'uso - dato che ne esistono diverse - adeguate alle differenti situazioni.

Automatico

È l'impostazione generalmente proposta come punto di partenza. Solo quando la fotocamera ritiene che le condizioni di luce richiedano l'uso del flash esso viene automaticamente attivato.
Va benissimo per molte situazioni non specifiche anche se ciò potrebbe causare un ritardo nello scatto - dovuto al tempo di carica del condensatore di alimentazione del flash - in momenti inopportuni. Generalmente questa impostazione è utile in situazioni di luce in cui si è indecisi se utilizzare o meno il flash e un eventuale ulteriore ritardo nello scatto - sommato a quello eventualmente tipico della fotocamera - non causa fastidio.
Quando invece occorre una maggiore prontezza allo scatto è forse meglio evitare di utilizzare il flash oppure impostarlo in modalità "sempre attivo" così che sia - a seconda dei modelli di fotocamera - sempre pronto allo scatto anche se in questo modo l'autonomia della batteria verrà ridotta dal maggior consumo di corrente.

  • Funzione di riduzione degli occhi rossi
    È forse la modalità d'uso più conosciuta e serve ad attenuare il riflesso rosso che si manifesta quando gli occhi del soggetto sono illuminati da una direzione simile a quella da cui si fotografa. Essendo il flash - soprattutto nelle fotocamere compatte - molto vicino all'obiettivo, questo problema è molto frequente.
    Impostando il flash in questa modalità, prima dello scatto vengono prodotti o una serie di brevissimi lampi oppure si illumina il soggetto con una lampadina ausiliaria alloggiata nella fotocamera stessa così da fare restringere le pupille.
    Con le pupille più strette passa meno luce negli occhi e di conseguenza anche la luce da essi riflessa è minore.
    Minore però significa che il difetto è attenuato, ma non è eliminato. L'unico sistema per usare il flash senza che appaiano gli occhi rossi consiste nell'avere un flash separato posto a lato dell'obiettivo e adeguatamente distante (solitamente sono sufficienti 20 o 30 cm).
    Se si pensa di avere questo tipo di necessità è utile acquistare una fotocamera dotata di alloggiamento per un flash esterno. In questo caso si potrà anche disabilitare quello incorporato.
  • Flash di riempimento
    Si pensa sempre che il flash sia utile solo di notte o in ambienti chiusi. In realtà situazioni di illuminazione molto particolari, come il controluce, possono essere affrontate senza alcun problema semplicemente grazie a un uso corretto del flash in modalità "flash di riempimento" o "fill-in".
    Se si pensa al controluce - situazione in cui dietro al soggetto c'è una luce intensa - si capisce che il soggetto principale è più in ombra rispetto allo sfondo. Basta pensare a un ritratto che per sfondo ha un tramonto. Fotografando senza alcun accorgimento, immancabilmente il soggetto in primo piano apparirà più scuro dello sfondo; generalmente troppo scuro.
    È necessario quindi illuminare il soggetto mediante il flash utilizzando la funzione che consente di attivarlo manualmente (funzione denominata anche "sempre attivo" o "riempimento").
    In questo modo il flash interverrà sempre, qualunque sia la condizione di luce.
    La medesima funzionalità è utile anche quando si fotografa in una stanza inquadrando anche una finestra da cui proviene molta luce e in altre situazioni simili.
    La fotocamera generalmente doserà comunque la potenza del flash così da non sbilanciare l'illuminazione ossia in modo da non illuminare eccessivamente il soggetto in primo piano rispetto allo sfondo.
  • Flash abbinato a tempi di posa lunghi
    È forse il sistema d'uso più creativo. Se si fotografa un soggetto che deve essere ben illuminato e che è vicino ovviamente si può usare il flash... ma per lo sfondo? La soluzione sta appunto nell'abbinare il flash - così da rischiarare il soggetto più vicino - a un tempo di posa piuttosto lungo. Prolungando il tempo la poca luce che illumina lo sfondo sarà comunque sufficiente a farlo apparire più chiaro che con un tempo breve.
    Come al solito c'è un rovescio della medaglia: il soggetto vicino e il fotografo devono rimanere immobili per tutta la durata dell'esposizione pena un effetto mosso.
    Potrebbe anche accadere che i colori dello sfondo, a causa della illuminazione probabilmente artificiale e diversa da quella del flash, appaiano differenti dalla realtà. È un problema inevitabile dato dalla differente temperatura colore delle diverse fonti di luce ma sopportabile; meglio un colore un po' falsato che una foto con sfondo eccessivamente buio e insignificante.

Regolazione della Temperatura colore

Come accennato nel paragrafo precedente, la luce può assumere tonalità diverse in funzione del metodo con cui è generata e dei riflessi presenti. Come standard per indicare la tonalità della luce si indica la sua "temperatura colore" espressa in Kelvin (K). Rappresenta la temperatura - rispetto allo zero assoluto (-273 °C) - cui occorre portare un corpo affinché la luce da esso emessa assuma la tonalità desiderata.
Per capire il meccanismo, si pensi di riscaldare su una fiamma un pezzo di ferro. Inizialmente assume un colore rosso scuro per poi scaldarsi e assumere tonalità via via più chiare passando all'arancione, al giallo e poi - se si dispone di una fiamma che scalda a sufficienza - a un bianco.
È evidente che a temperature inferiori corrispondono colori più tendenti al rosso e a temperature elevate corrispondono colori vicini al bianco. Ma siccome le tinte sul rosso sono anche dette "tinte calde", a temperatura bassa corrispondono colori più caldi; a temperature colore più alte corrispondono colori più freddi.
Normalmente col cielo sereno si trovano temperature colore prossime e anche superiori ai 10 000 K; col cielo parzialmente coperto ci si trova vicini ai 6500 K per arrivare, con le tradizionali lampadine da casa, a temperature tra 2500 e 3200 K in funzione della potenza della lampada.
I colori poi possono variare se a luce del sole è riflessa dalla neve, da uno specchio d'acqua, se si è in ombra e da mille altri fattori.
È evidente che variando il colore dell'illuminazione varia la percezione del colore. Sebbene il nostro occhio si abitui facilmente, così non è per una fotocamera. Fotograferà esattamente la realtà con tutte le dominanti colore derivanti.
La fotocamera a tal fine dispone di una regolazione della temperatura colore così da restituire colori reali. Semplicemente rileva il colore della parte più chiara dell'immagine e determina che quello è il colore della luce. Portando quello al bianco puro di conseguenza anche gli altri colori dovrebbero risultare corretti.
Non sempre però il sistema funziona. In questo caso - regolazione automatica della temperatura colore - se mancassero dei riferimenti di colore adeguato tutto apparirebbe con colori falsati. È il caso di quando si fotografano oggetti - come per esempio abiti in tinta unita - su uno sfondo di un colore qualsiasi ma senza presenza di alcun punto bianco.
In questi casi si rende necessario utilizzare una delle preimpostazioni presenti sulla fotocamera scegliendo quella adatta alla situazione di illuminazione. In genere sono presenti impostazioni per luce del sole, cielo nuvoloso, soggetto in ombra oppure per illuminazione artificiale mediante flash, lampada a incandescenza (le comuni lampadine), lampade a fluorescenza di vari tipi (le lampade dette al Neon).
È anche possibile una regolazione accurata, ideale per i più esigenti e per l'uso professionale, mediante la regolazione personale. Non si tratta di indicare la temperatura colore bensì più semplicemente di fotografare un soggetto di colore neutro (generalmente grigio) e su questo basare la temperatura colore impostata per gli scatti seguenti. In questo modo la fotocamera sopperisce alla mancanza nell'inquadratura di oggetti di colore neutro o bianco.
Si potrebbe usare un comunissimo pezzo di cartoncino grigio ma per un risultato veramente accurato esistono in commercio appositi cartoncini da taratura (i più diffusi son prodotti da Kodak) il cui colore è controllato rigorosamente al fine di un risultato preciso. Usando un oggetto colorato e non grigio si otterrà, infatti, un risultato non attendibile e pertanto a poco sarebbe servita la taratura.


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